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PERCHE’ E’ CROLLATA L’UNIONE SOVIETICA?

Nel 2019 ricorrerà il trentesimo anniversario del crollo del Muro di Berlino: evento-simbolo della fine della Guerra Fredda e della fine del Blocco Sovietico.
Nel 1989 tutti i paesi comunisti dell’est abbandonarono il sistema socialista per abbracciare il sistema liberal-capitalista dell’occidente.

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Nel 1991, anche il cuore dell’Impero, L’URSS, cessò di esistere e da allora nacquero 15 repubbliche sovrane, che scelsero poi percorsi, anche radicalmente, diversi. L’Unione Sovietica, per 50 anni ha retto le sorti di mezzo pianeta ed ha influenzato, di conseguenza anche le scelte dell’altra metà. L’URSS teneva testa agli Stati Uniti d’America per la supremazia militare, tecnologica e politica, ma anche sportiva, sociale e culturale. La stragrande maggioranza dei comunisti di tutto il globo guardava ad essa come un modello, mentre il mondo anticomunista la guardava come IL nemico per antonomasia.
Ma come è crollata l’URSS? e come è stato possibile senza che nemmeno un soldato straniero abbia mai messo piede sul suolo russo.
Facciamo un passo indietro: L’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche venne proclamata il 30 dicembre 1922, sulle ceneri di quello che era l’Impero Russo Zarista.
Il 7 novembre 1917 i Bolscevichi guidati da Lenin presero il potere in Russia e subito dopo cominciò la guerra civile, tra le forze anticomuniste e l’Armata Rossa comunista guidata da Leon Trotzky. Prevalsero quest’ultimi e iniziarono a costruire il primo paese ispirato, almeno a detta loro, dalle teorie di Karl Marx.

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All’Inizio venne promossa la NEP, la Nuova Politica Economica, un sistema che riconosceva un minimo di iniziativa privata ed una certa autonomia gestionale delle imprese, da parte dei Soviet, i consigli dei lavoratori.
Nel 1924 Lenin morì, e nella lotta di successione tra Josif Stalin e Leon Trotzky, prevalse il primo, che era portatore del concetto di “socialismo in un solo paese”: la Rivoluzione prima di essere esportata doveva essere consolidata e rafforzata in patria.
Il neonato Stato Sovietico aveva bisogno di crescere economicamente e aveva bisogno di farlo alla svelta.

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Stalin impose il passaggio ad un’economia regolata dai Piani Quinquennali, rigide programmazioni, di cinque anni in cinque anni, dall’alto di ogni aspetto, di fatto, dell’economia nazionale togliendo quei limitati spazi di iniziativa privata e di autonomia gestionale.
Il risultato fu ottenuto a forti costi in termini di vite umane e sociali.Un sistema economico pianificato centralmente, infatti, registra tassi di crescita effettivi e potenziali molto bassi nel lungo periodo perché non incentiva le imprese ad investire in R&D (Research and Development): un sistema industriale che non persegue obiettivi come l’innovazione è incapace di creare occupazione e di incidere in maniera consistente sulla produttività.
Ne è un esempio l’economia cinese durante il periodo maoista caratterizzata da massicci investimenti a fondo perduto che non avevano migliorato la politica industriale di Pechino, rendendo il divario tra i redditi dei residenti nelle zone rurali e urbane è ai massimi storici, un elemento di instabilità politica che potrebbe mettere a dura prova il consenso della classe dirigente comunista cinese. Il dibattito sul modello economico sovietico va avanti da diversi anni: affrontato con eccessiva euforia da mass media ed “esperti”, si è riacceso in occasione del “miracolo asiatico” del 1994, anno in cui Krugman ha mostrato le diverse correlazioni tra l’elevata crescita registrata dalle Tigri Asiatiche e quella sovietica che però “si è spenta come un fuoco di paglia” in tempi assai brevi a causa della sua obsolescenza.
“C’è stato un tempo in cui la comunità degli opinion leader occidentali è rimasta colpita e spaventata dagli straordinari tassi di crescita raggiunti da un gruppo di economie orientali. Anche se queste economie erano decisamente più povere e più piccole di quelle occidentali, la velocità con cui si erano trasformate da società rurali a locomotive industriali, la loro continua capacità di raggiungere tassi di crescita superiori di varie volte a quelli delle nazioni avanzate e l’abilità sempre più evidente di sfidare o addirittura superare la tecnologia americana ed europea in alcuni settori, sembravano mettere in dubbio il dominio non solo della potenza, ma anche dell’ideologia dell’occidente.
I leader di quelle nazioni non condividevano la nostra fede nei liberi mercati senza limiti. Asserivano con crescente sicurezza la superiorità del loro sistema: queste società che accettavano governi forti ed erano disposte a limitare le libertà personali nell’interesse del bene comune, prendere il timone delle rispettive economie e sacrificare gli interessi a breve termine dei consumatori per inseguire una crescita a lungo termine, avrebbero finito per prevalere sulle società sempre più caotiche dell’occidente e una minoranza di intellettuali sempre più numerosa si professava d’accordo.
Il divario tra la performance economica dell’Ovest e dell’Est sarebbe diventato prima o poi un problema politico” (Krugman, The Myth of Asia’s Miracle).
La crescita economica nel lungo periodo è stimolata da due diversi fattori: i fattori di produzione e l’efficienza.
I fattori di produzione si possono distinguere in capitale (macchinari ed edifici) e in lavoro (la crescita dell’occupazione); la crescita economica si definisce sostenibile quando quest’ultima tende a derivare, secondo Solow, non dagli incrementi dei fattori di produzione, quanto dagli incrementi di efficienza, il cui elemento trainante principale è il progresso tecnologico.
L’URSS ha registrato, inizialmente, tassi di crescita del PIL interessanti a causa del solo impiego dei fattori di produzione, ma che ha comportato nessun guadagno in termini di efficienza; secondo il Premio Nobel Krugman è per questo motivo che un’espansione economica determinata solamente dal mero utilizzo degli input è destinata ad affievolirsi nel lungo termine. Un pò come è accaduto per le Tigri asiatiche: la loro rapida crescita è causata dalla capacità di mobilitare le risorse. Inoltre, si è registrato un notevole aumento della popolazione impiegata ed è grazie al progresso tecnologico che la Cina ha potuto recuperare il gap di produttività nei confronti degli USA rilanciando il settore privato, cosa che non è avvenuta in URSS.

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L’Unione Sovietica, a causa di questo sistema, cominciò a non avere più l’autosufficienza alimentare e fu costretta ad importare milioni di tonnellate di grano, anche da paesi occidentali, USA compresi. L’URSS per pagare il grano, fu costretta a reperire dollari sul mercato e per farlo dovette vendere petrolio e gas naturale all’Occidente per reperire la valuta necessaria.
Fino a quando il petrolio aveva un prezzo elevato, si poteva sopperire, ma quando negli anni ’80 il prezzo cominciò a crollare, L’URSS fu in profonda difficoltà a poter reperire dollari per pagare il grano e altri generi alimentari, con pesanti ricadute sulla popolazione.
Un’altro aspetto determinante per la caduta sono state le enormi spese militari per poter competere con gli USA che oramai occupavano parecchie risorse. Con la stagnazione e la crisi dell’economia sovietica, i russi furono sempre più in difficoltà a “stare al passo”. Inoltre la Guerra in Afghanistan che tenne occupata l’Armata Rossa per 10 anni, dal 1979 al 1989, aumentò a dismisura le spese alimentari ed ebbe costi umani enormi, ben 26.000 sovietici trovarono la morte nel Paese Asiatico e ben 53.000 furono feriti. I reduci che tornavano dall’Afghanistan raccontavano una realtà ben diversa dalle versioni ufficiali sovietiche generando malcontento e sfiducia verso il Governo.

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Si capiva la necessità di riforme, da diverso tempo, nel 1982 alla morte di Breznev salì al potere Andropov, ex-capo del KGB, che aveva l’intenzione di apportare significative riforme al sistema: ma nel 1984, morì e divenne segretario del PCUS (Partito Comunista dell’Unione Sovietica) Chernenko, che morì poco dopo.
Nel marzo del 1985 Gorbaciov, giovane riformista, divenne leader dell’URSS e fu l’ultimo.
Aveva in mente un piano di riforme, ma per poterlo attuare serviva una distensione con l’occidente.
Gorbaciov si mosse per fermare la corsa agli armamenti e per ridurre le armi atomiche nel Mondo.
La sua immagine con Reagan, Presidente USA è rimasta negli annali come uno dei simboli della fine della Guerra Fredda.

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All’interno, venne lanciato un vasto programma di riforme economiche, per riformare il socialismo e renderlo più trasparente e democratico, anche se non era assolutamente intenzione di Gorbaciov, di abbandonare il Comunismo, ma “semplicemente” di riformarlo e, nella sua testa, di migliorarlo.
Perestroika e Glasnot furono le parole chiave in quel periodo.
Tuttavia si rivelarono un fallimento e le condizioni economiche dell’URSS e dei paesi del Patto di Varsavia peggiorarono decisamente, stavolta in un contesto dove il dissenso era maggiormente tollerato. I movimenti anticomunisti in Europa Orientale avevano ricevuto nuova linfa, con l’elezione di Giovanni Paolo II, come papa nel 1978, divennero sempre più forti. Nel 1989 i paesi dell’est europeo abbandonarono tutti il comunismo, in modo più o meno pacifico e tutto questo avvenne anche grazie alla non reazione sovietica, che aveva deciso di non intervenire, a differenza che nel passato, per ristabilire la fedeltà a Mosca, probabilmente temendo una ricaduta negativa anche all’interno dell’URSS.
Queste conseguenze negative ci furono comunque, le repubbliche sovietiche riscoprirono la loro antipatia ed ostilità verso la Russia e pretesero l’indipendenza. Gorbaciov tentò di rinegoziare la costituzione sovietica in senso confederale, ma il golpe dell’agosto 1991, che aveva lo scopo di riportare l’URSS ai tempi prima della Perestroika e della Glasnot, fallì anche grazie alla forte opposizione della popolazione, indebolì l’autorità dello stato centrale che pochi mesi dopo crollò su decisione di tre oramai ex repubbliche sovietiche.

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Il 25 dicembre 1991, Michail Gorbaciov, per evitare il sorgere di una guerra civile in un paese pieno di armi nucleari, diede le sue dimissioni accettando la fine dell’Unione Sovietica.
Quel giorno sulle torri del Cremlino la bandiera rossa venne ammainata e venne issata il nuovo tricolore russo. Fu la fine di un’epoca e l’inizio di un’altra che avrebbe dovuto portare il Mondo ad un’uniformità e stabilità, ma che invece ha creato ancora più instabilità e caos.

bandiera cremlino

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